Progetto pubblicato su Casabella (n.770 ottobre2008), vincitore del premio di architettura PAI 2008.
Il progetto del Memoriale della Deportazione nato per interessamento della Città di Borgo San Dalmazzo, si inserisce all'interno del progetto Interreg “I sentieri della Memoria” volto a raccontare gli avvenimenti storici attraverso i luoghi.
Il racconto che Borgo San Dalmazzo conserva, si snoda a partire dalla sua vecchia stazione ferroviaria, situata a poca distanza dalla ex caserma degli alpini, che fu campo di concentramento al servizio del disegno epurativo nazista. Sui binari si raccolsero i destini di 329 ebrei stranieri, in fila davanti ai vagoni ferroviari che li portarono nei campi di sterminio europei. Il 21 novembre 1943 furono ammassati sul piazzale per raggiungere, stretti nei vagoni merci, prima il campo di concentramento di Drancy, presso Parigi, e poi Auschwitz. Provenivano da tutta Europa: ebrei polacchi, francesi, austriaci, belgi, turchi, rumeni, slovacchi, lituani, ungheresi, croati, tedeschi, greci che fuggivano attraverso la Francia dopo lunghi viaggi della speranza. Avevano trovato rifugio nelle vallate alpine della zona, sino a quando i rastrellamenti li portarono nel campo di concentramento, dove passarono più di due mesi prima che la loro esistenza fosse definitivamente spezzata: solamente 18 di essi fecero ritorno.
Il 15 febbraio 1944, come loro, altri 26 tra uomini, donne, bambini ebrei, prevalentemente italiani, partirono da questa stazione, diretti a Fossoli di Carpi, da dove poi raggiunsero Auschwitz e Buchenwald: solo due di loro sopravvissero.
All'inizio degli anni ottanta, il Comune acquisì tre vagoni del tutto simili a quelli utilizzati per la deportazione collocandoli su di un binario morto nei pressi della stazione come primo intento di commemorazione.
Ai piedi di questi vagoni merci è sorto il nuovo Memoriale.
Come una banchina per l'accesso ai convogli, circondata da massi di varia dimensione, la piattaforma in cemento corre parallela ai binari definendo un'ampia area di rispetto.
Su di essa i nomi dei deportati si presentano uno a uno, come nell’elenco scandito dalla voce di chi li chiamò per il loro viaggio più lungo. In piedi, si stagliano le sagome in corten che compongono i dati anagrafici dei pochissimi che sopravvissero: è quasi una lugubre didascalia alle carrozze. Diversi per altezza, come dissimili per statura furono gli uomini, le donne e i bambini che si stringevano in quelle giornate invernali, testimoniano la tragedia che qui si consumò. Ai loro piedi, sul basamento, l’elenco infinito dei nomi di chi non tornò più: camminare tra essi, posti in riga, paralleli ai binari consumati dalla ruggine, è come rompere le file di quegli uomini che qui, in rigoroso ordine, attesero di salire sui convogli.
Esistono, nella geografia di un Paese, punti della memoria che più di altri portano impressi nomi e date di una storia comune, restano a rammentare a chi vi si inoltra il senso di eventi capaci di segnare le coscienze.
Oggi, i loro nomi, tutti, in terra o in piedi, italiani e stranieri, tornano a essere raccolti intorno ai binari. Accanto a ciascuno, l’indicazione del Paese di provenienza e dell’età registrata alla data dell’ingresso nei campi: leggerne la storia è come immaginarsi quei volti.
Sono storie ricostruite dall’alternarsi di spazi vuoti e di strutture di acciaio che ne spezzano il silenzio: sono gli oggetti a parlare, la loro presenza a testimoniare una vita salvata, l’assenza a raccontare una fine. I legami familiari si spezzano: solo qualcuno sta in piedi, sopravvissuto, di intere famiglie; i nomi di alcuni nuclei rimangono completamente registrati a terra, cancellati del tutto. Non c’è nessuna concessione alla retorica della memoria: solo i fatti, i nomi, la storia di un transito, di una speranza spezzata per sempre.
Avvicinarsi a questa terra, lontana dai percorsi autostradali, pare strano a molti. Passarci significa attraversare la memoria, i luoghi dove è nata la Resistenza, i segni silenziosi di una storia difesa con fierezza e umiltà dalla gente di qui.
Di sera, quando le luci che fendono il basamento del Memoriale proiettano ombre lunghe sui binari, pare di vederli vivi, questi uomini persi, allungare il loro segno sulla terra.
Tutti in fila come allora.
Un ultimo appello prima di partire per un lungo viaggio.
Foto di Alberto Piovano, MI