Edificio residenziale in Via Michelangelo Schipa
Sorto durante gli anni del boom edilizio postbellico in un area della città destinata sin dal Piano Regolatore Generale del 1939 ad edificazione semi intensiva per il nuovo rione di Piedigrotta. Le caratteristiche di questa tipologia edilizia erano quelle di edificare fabbricati non più alti di 16,20 metri in modo da non occultare, dal mare, la vista verso le colline vomeresi tutelate a partire dagli inizi degli anni Trenta su ordinamento del Sovrintendente dell'Arte Medioevale e Moderna Gino Chierici. A seguito del secondo conflitto mondiale, la richiesta di nuove abitazioni fu molto forte a causa dei forti danni subiti al patrimonio edilizio cittadino. Si contavano dopo la guerra circa duecentomila vani resi inagibili o distrutti. Le opere di ricostruzione iniziarono immediatamente con la stesura di un nuovo piano regolatore generale, il cui gruppo di studio fu coordinato da Luigi Cosenza, nel 1945, ma esso, per i successivi sviluppi politici del Paese e della Città, venne ben presto accantonato lasciando il compito di regolamentazione urbana del nuovo sviluppo cittadino all'ormai desueto P.R.G. del 1939 di Piccinato e al Regolamento Edilizio del 1935 per quanto concerneva la questione delle norme attuative del piano. I due strumenti urbanistici, approvati a distanza di quattro anni l'uno dall'altro, presentavano forti discrepanze per i modi di attuare la regolamentazione urbanistica generando un campo neutro di ampie manovre di speculazione edilizia favorite dalla falsificazione delle zonizzazioni originarie del piano e alle deroghe consentite dal regolamento. Nel 1961 con l'atto di delibera per la nuova variante del Drizzagno, racchiusa tra il corso Vittorio Emanuele e Arco Mirelli, venne approvato un nuovo progetto volumetrico dell'area con interventi di edilizia intensiva che raggiungono casi eclatanti come nel condominio Brancaccio in via Giordani che raggiunge, in un'area la cui altezza media dei fabbricati si aggira sui 30 metri, la quota di 43 metri e 13 piani tanto da spiccare dalle terrazze panoramiche del Corso Vittorio Emanuele.
L'edificio di via Michelangelo Schipa, a differenza dei soffocanti fabbricati di speculazione che portano la firma di importanti professionisti della città, venne progettato verso la fine degli anni Quaranta. Il progettista, poco noto alla critica specialistica, è Luigi Mustica. Mustica, nato nel 1918, laureatosi nel 1940 e morto nel 1976, rappresentava la generazione di architetti che laureatasi all'indomani dell'entrata in guerra dell'Italia ha potuto esercitare la professione subito dopo impegnandosi nella ricostruzione postbellica. Il suo campo di azione fu sostanzialmente l'edilizia privata borghese. Dai colleghi era considerato un brillante progettista, nonostante fosse anche costruttore, attento alla composizione e al linguaggio.
Questa attenzione si riversa anche nel condominio in via Schipa dove la composizione del volume, osservante delle prescrizioni di quella delle palazzine semi intensive del Piano del 1939, si eleva su quattro piani con attico leggermente arretrato; il piano di accesso è leggermente rialzato su una piccola rampa che conduce all'atrio dove in fondo sono posizionate le scale a doppia rampa che prospettano sul giardino retrostante e che conducono ai tre appartamenti per piano. Il prospetto richiama le composizioni razionaliste di ispirazione lecorbusierane con l'adozione di lunghe logge a nastro finestrate e non. Il basamento è trattato con un paramento in pietra incerta che regala al fabbricato l'appartenenza mediterranea insieme alle intonacature bianche dei prospetti e alle maioliche,che incorniciano il portone vetrato di accesso, con figure di animali.