IL MURO | HOSPITAL vs PRISON
Trasformazione del complesso ospedaliero Molinette di Torino attraverso l'inserimento di un carcere per detenuti in condizione di semilibertà. Il progetto sperimenta l'ipotesi di una città nella città in cui i detenuti possano, durante il giorno, incontrarsi con i cittadini attraverso zone di scambio culturale e commerciale, e di notte risiedere nell'area detentiva di maggior sicurezza nel rispetto dell'attuale sistema penitenziario italiano.
Le Molinette, vasto complesso urbano torinese, progettato unitariamente nel 1935 e poi oggetto di successive integrazioni e superfetazioni, costituirà la più grande porzione di città soggetta a riuso. Per l'area infatti è prevista la prossima dismissione delle funzione ospedaliere. L’orizzonte temporale del trasferimento dell’Ospedale, individuato in un arco temporale di 7/10 anni, permette di considerare la trasformazione delle Molinette come una esperienza pilota e concreta di progettazione della città del futuro. Lo scenario qui proposto, sviluppato all'interno dell’Unità di Progetto Architettura ed economia urbana del Politecnico di Torino, deriva principalmente da un preciso studio tipologico delle componenti spaziali del complesso ospedaliero che, nella loro ripetizione e nella chiara dislocazione, hanno determinato la possibilità di adottare un nuovo programma funzionale. Il progetto ipotizzato si pone in continuità spaziale, ma secondo una discontinuità funzionale, concepita proprio dalle potenzialità inscritte nelle trame geometriche dell’oggetto stesso. Per questo motivo è stato messo in luce quanto il sistema distributivo ad assi centrali con successive diramazioni in spazi secondari laterali, potesse essere ripreso al fine di ospitare una struttura collettiva per la sorveglianza: un carcere certo, ma piuttosto una comunità.
Ripartire dalla costruzione delle nuove esigenze fondandosi sulle peculiarità dell’involucro architettonico stesso, non tanto per sconvolgerlo nella sua geometria ma quanto nelle vocazioni edilizie e urbane, ha permesso di immaginare un intervento che s’interrogasse sul ruolo della trasformazione stessa. In questo modo si è preso atto delle responsabilità di una fattibilità economica che sapesse ridurre costi di intervento (le necessità) e promuovere al contempo la continuità di un’azione sociale congiunta (la prospettiva).
Allo stesso modo, ripartendo dal limite tanto fisico quanto simbolico del muro perimetrale che demarca la struttura ospedaliera odierna, il progetto ha voluto traslare questa riconoscibilità nella memoria collettiva attuale. La creazione di un carattere unitario ha operato al fine di convergere i nuovi intenti in una riconoscibilità né estetica né autoriale, ma piuttosto per il ruolo che assume nel tessuto e nella percezione sociale.
Come la struttura ospedaliera organizza i propri utenti secondo una graduale possibilità di interagire con l’ambiente esterno, influenzando percorsi, chiusure e aperture, anche la struttura carceraria qui proposta è intesa come progressiva devoluzione delle regole che ne governano i propri spazi, predisponendo da Nord a Sud in tre aree distinte: la detenzione, la formazione e l’applicazione.
I padiglioni dell’area Nord prevedono l’inserimento delle celle di coloro che fanno parte di questo progetto di reinserimento sociale, ovvero coloro che la legislazione attuale definisce come detenuti in regime di semilibertà. Ad essi è riservata la possibilità, ritenuta nel progetto fondamentale, di “spostarsi” tra gli spazi del nuovo complesso, intendendo il “tempo” non come risorsa indifferente dell’utente, quanto un’opportunità che va integrata in un percorso virtuoso. Per questo motivo essi sono autorizzati a frequentare gli spazi di formazione, culturali, sportivi o d’impiego professionale durante il giorno, mentre far ritorno nell’area detentiva e sotto un maggior controllo di sicurezza durante la notte.
Nuovamente è la tipologia attuale e l’efficiente macchina organizzativa ospedaliera a suggerire la costruzione di una logica programmatica per l’area detentiva, che sappia rispondere in maniera eterogenea alle sfide che il diritto stesso pone come percorsi che non possono essere semplicemente accumunati. Non si rivela così come una logica orizzontale ed indifferente, quanto capace di mostrare attenzioni che sappiano ogni volta ricombinarsi in funzione di precise necessità sociali. Rinforzando la struttura separata, ma altresì accumunata dal medesimo obiettivo della riabilitazione dell’individuo, sono stati disposti padiglioni dediti come risposta a precise tematiche. In questo modo è stato creato un luogo che interessato alla detenzione che sappia dialogare con reati che connessi a precise patologie psichiatriche.
Allo stesso modo è stata posta una particolare attenzione a coloro che necessitano di un percorso di reinserimento, legato alla possibilità di entrare in un programma di semilibertà, entrando in contatto con una serie di padiglioni secondari relativi alle declinazioni che questo significato può assumere. Per questa ragione è stato immaginato un luogo per gli spazi della familiarità, dove particolari detenuti possono entrare liberamente in contatto con i propri congiunti. Ulteriormente nella porzione Est sono stati creati spazi per la detenzione domiciliare, nei quali alcuni detenuti possono scontare la pena ricreando il nucleo famigliare stesso. In aggiunta è stato creato, in misura inferiore, una struttura detentiva femminile, che ponesse l’accento sulle principali necessità sia famigliari che sanitarie.
A margine delle aree detentive sono stati immaginati servizi che integrano e rinforzano l’idea della transizione di questo luogo, sottintendendo nelle loro funzioni la relazione tra un dentro e un fuori della struttura ipotizzata. A tal fine oltre alle tradizionali infrastrutture amministrative, è stata pensata la predisposizione di spazi dedicati a ospitare servizi sociali e associazioni, che sappiano veicolare processi virtuosi in maniera più vigorosa di quello che succede nell’attuale condizione carceraria nazionale. A fianco è stato inserito un teatro inteso come luogo d’incontro per eccellenza, ma anche di scambio di ruoli e degli ordini imposti, al fine di contribuire ad aumentare gli scambi comunitari. Un padiglione è stato riadattato al fine di ospitare la caserma dei funzionari della sicurezza del carcere, immaginato non tanto come fortino per sorvegliare la struttura, ma come parte integrante di una comunità che abita questi luoghi.
In conclusione la logica progettuale de “il muro” è da intendersi, per quanto possa sembrare difficile, come elemento che esiste di per sé ma che al contempo può essere declinato nella sua progressiva smaterializzazione, che diviene tanto fisica dell’individuo stesso attraverso il suo percorso di uscita, quanto percettiva, come aspirazione che viene dispiegata dall’oggetto architettonico stesso.