Distilleria Puni
La distilleria di whisky – la prima e unica in Italia – si trova ai margini dell’abitato di Glorenza, nell’alta Val Venosta.
Il committente, Albrecht Ebensperger, è stato a lungo attivo come imprenditore con interventi eseguiti in collaborazione con Tscholl quali, tra altri, Castel Firmiano. Fondata nel 2010, l’impresa produce dal 2012 circa 176.000 litri di distillato l’anno; la marca – Puni – deriva dal ruscello omonimo la cui sorgente nasce tra i ghiacci delle Alpi Venoste. L’immagine di un “whisky italiano” trova sostanza nella materia prima – il grano è quasi tutto coltivato localmente, prefigurando un possibile riequilibrio della pratica di monocoltura della frutta che, nell’ultimo secolo, ha impoverito il paesaggio venostano; poi nella messa a punto delle miscele e della distillazione; infine nell’invecchiamento, che avviene parte in botti di Bourbon ma, soprattutto, in botti di Marsala siciliano e di vini altoatesini, custodite in bunker militari scelti per il loro ideale microclima. L’architettura ha una duplice finalità: rispondere alle esigenze produttive e, in misura forse maggiore di quanto accade per le cantine vinicole, suscitare interesse, attraverso l’immagine, per un’attività nuova. Le diverse funzioni sono distribuite su quattro livelli: il piano interrato ospita la gran parte delle lavorazioni, i silos di stoccaggio temporaneo e il mulino di macina dei malti, i tini di fermentazione e gli alambicchi di distillazione; al piano terreno si trovano gli spazi di accoglienza e vendita; il primo e il secondo piano sono destinati agli uffici e a un’abitazione. Il piano terra e l’interrato sono entrambi accessibili al pubblico, oltre che collegati visivamente da un’apertura ritagliata nel solaio, in una sorta di “messa in scena” del processo produttivo.
La costruzione è costituita da due involucri indipendenti: uno interno, chiuso da superfici vetrate specchianti e da tamponamenti opachi; uno esterno, distanziato di circa un metro, realizzato con blocchi di cemento pigmentato appositamente realizzati, di 24 x 24 x 48 centimetri e in parte vuoti per consentire una messa in opera manuale; impregnati con additivi speciali che impediscono l’assorbimento dell’acqua, i blocchi sono incollati tra loro senza malta, per accentuare l’immagine di una costruzione a secco. L’accesso del pubblico avviene da un’unica porta che, quando è chiusa, scompare totalmente nella superfice muraria. Ispirata al tradizionale sistema di aerazione degli edifici rurali, la disposizione dei blocchi a filari sovrapposti e sfalsati produce da un lato un annullamento della scala della costruzione che appare come un ermetico (ancorché traforato) monolito; d’altra parte, proprio le fitte forature della superficie esterna lasciano filtrare negli interni una luce suggestiva che reagisce con le superfici del pavimento – in battuto di cemento lucidato – e delle pareti, che recano l’impronta dei pannelli OSB in scaglie di legno utilizzati per le casseforme.