Architetture
Il montaggio è l’arte capace di rendere l’immagine dialettica, montare le immagini così come faccio nel mio lavoro, non significa assimilarle per ricondurle in una trama narrativa logica, bensì accostare singoli frammenti preservandoli nella loro molteplicità, parzialità ed impurità per far si che dal loro accostamento o ripetizione si generi un’ interferenza, o una reazione della mia immaginazione, che apre a una conoscenza nuova e a nuove relazioni possibili. Il montaggio produce così un’ immaginazione che è parte integrante della conoscenza. Le immagini da sole non bastano, sono sempre affiancate o meglio fatte collidere, con brevi frasi raccolte dai libri nel tempo, parole da leggere così che l’effetto immaginativo sia amplificato non per sostenere una verità bensì per far sorgere un momento visivo di conoscenza, è solo attraverso questa resa dialettica che l’immagine acquista una nuova leggibilità. Didi Huberman afferma che la nostra è l'epoca dell'immaginazione lacerata; ogni giorno siamo circondati da una massa di immagini: cliché, stereotipi, immagini ripetitive, immagini già viste che ci investono ogni momento e letteralmente ci soffocano. È un mondo orientato su una visione esasperata che alla fine non ci mostra nulla. Tutto questo crea un’ assuefazione che ci porta a considerare le immagini poco importanti dal punto di vista conoscitivo, come semplici rappresentazioni, riproduzioni della realtà esterna. Quando un archivio di immagini eterogenee fra loro sono fatte collidere, accostate a costituire una atlante mnestico che si sottrae a ogni progetto di ordine sequenziale; si produce una nuova immagine che assume un nuovo significato. In un certo senso è un tentativo di costruire un atlante della propria immaginazione. Che ha come riferimento l'atlante di Warburg Mnemosyne, con la differenza che le immagini accostate in questo atlante sono state prima manipolate e personalizzate attraverso un operazione di assimilazione. Il metodo dialettico del montaggio attraverso l'accostamento di materiali diversi fa emergere istantanee connessioni di senso e nuove temporalità Ogni montaggio riguarda la memoria, che non è la memoria cosciente dei nostri ricordi , ma la memoria inConscia, profonda e sovradeterminata che ricompare all'improvviso quando incontriamo qualcosa che ci interessa. Parlare di un’etica delle immagini significa quindi parlare di una politica delle sopravvivenze che, dialetticamente, riporta il passato per agire nel presente e aprire sul futuro. Nelle immagini il passato non cessa di riconfigurarsi e di intrecciarsi con il presente e con le proiezioni future, rendendo così la storia delle immagini complessa, aperta, disorientata. Stare davanti all'immagine significa stare davanti a un tempo complesso, per questo bisogna aprire il proprio pensiero a nuovi modelli di temporalità che sappiano rendere giustizia degli anacronismi e delle forze vitali in atto nelle immagini.
Montage is the art that is capable of making the image dialectic. Assembling images as I do in my work does not mean assimilating them to fit them into a logical narrative plot, but juxtaposing single fragments, conserving their multiplicity, partiality and impurities to make their combination or repetition generate an interference with or a reaction to my imagination, opening up new possible relationships and knowledge.
Montage thus produces an imagination that is an integral part of knowledge.
The images are not sufficient on their own, they are always juxtaposed or, more precisely, collided with short phrases taken from the books of the time, words to read in order to amplify the effect of the image, not to assert a truth but to trigger a visual moment of awareness. It is only through this dialectic restitution that the image can take on a new legibility.
Didi-Huberman says that our era is one of lacerated imagination; every day we are surrounded by a mass of images: clichés, stereotypes, repetitive pictures, images already seen that impact each moment and literally suffocate us. It is a world orientated towards viewing taken to extremes, which in the end shows us nothing. All this creates an inurement that makes us consider images not very important from a cognitive standpoint, as mere representations, reproductions of external reality.
When heterogeneous archived images are collided with each other, juxtaposed to form a mnestic atlas that avoids any project of sequential order, a new image is produced that takes on a new meaning.
In a certain sense it is the attempt to construct an atlas of one’s own imagination, whose reference point is Warburg’s Mnemosyne Atlas, but with the difference that the images juxtaposed in this atlas have first been manipulated and personalized through an operation of assimilation.
The dialectical method of montage through the juxtaposition of different materials brings out instantaneous connections of meaning and new temporalities.
Every montage has to do with memory, which is not the conscious memory of our recollections, but the unconscious, deep and over-determined memory that suddenly surfaces when we come across something that interests us.
To talk about an ethic of the images therefore means talking about a politics of survivals that dialectically leads back to the past to act in the present and open to the future.
In images the past does not stop reconfiguring itself and intertwining itself with the present and with future projections, thus making the history of images complex, open, disoriented.
Standing before the image means being faced with a complex time. This is why we need to open our thought to new models of temporality capable of doing justice to the anachronisms and vital forces at work in images.