Gli spazi espositivi del MACRO al Mattatoio recuperano due dei quattro macelli monumentali che rappresentano il cuore del complesso di Gioacchino Ersoch.
I padiglioni sono costituiti da una scatola muraria che definisce un unico grande ambiente di circa mille metri quadrati, coperto da capriate polonceau. Lo spazio interno è ordinato da imponenti colonne in ghisa, travi in ferro e argani che strutturavano le celle di mattazione.
A questa struttura originaria, caratterizzata da un disegno raffinato che interpreta innovative ragioni funzionali, si “sovrappone” nel 1925 una trama orizzontale di guidovie, paranchi e ganci per la movimentazione delle carni dall’interno dei vari macelli al grande edificio “frigorifero”, realizzato in muratura e cemento armato, nel 1911 dalla Ferrobeton.
Il progetto privilegia il rapporto originario tra i padiglioni e quello che Ersoch chiama il "rettangolo centrale”: un grande spazio marcato trasversalmente dalla simmetria dei macelli e, longitudinalmente, da una lunga spina muraria che separava le rispettive rimesse in ferro e ghisa.
La ritrovata "trasversalità" dei padiglioni articola la fruizione dello spazio interno consentendo l'organizzazione delle attività museali in più ambiti: uno centrale, che ripropone filologicamente i caratteri originari dell'architettura ersochiana, tramite la rimozione delle guidovie del ’25; due di testata che organizzano sulla "seconda quota" delle guidovie una serie di plateau - geometrie galleggianti nello spazio - che moltiplicano le prospettive e le possibilità fruitive, riproponendo in termini contemporanei la serialità sistemica del complesso.
I materiali sono quelli d’origine: asfalto colato per le pavimentazioni interne; travertino, laterizi, stucchi e tinte a calce per le facciate; bardiglio, ghisa e ferro all’interno ma anche acciaio e vetro per i nuovi plateau.
I nuovi elementi strutturali scompaiono dietro piani neutri, le ingombranti canalizzazioni impiantistiche sfruttano prevalentemente il sottosuolo.
Una attenzione particolare è rivolta all’illuminazione d’ambiente che sottolinea discretamente l’intradosso della copertura e le vecchie canaline del piano di calpestio. Tra queste due quote, si snoda uno spazio atmosferico, nettamente segnato ma anche vuoto e flessibile. Disponibile alle modalità e alle espressioni artistiche più diverse.
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